La moda etica e sostenibile rappresenta un movimento crescente nell’industria dell’abbigliamento, nato
dalla consapevolezza delle gravi implicazioni ambientali e sociali legate alla produzione e al consumo di
massa. Questo approccio si concentra sull’adozione di pratiche che riducono l’impatto negativo
sull’ambiente e promuovono condizioni di lavoro dignitose per i lavoratori lungo tutta la filiera produttiva.
Uno dei principi fondamentali della moda sostenibile è l’uso di materiali ecocompatibili, come il cotone
biologico, la lana rigenerata e i tessuti riciclati, che riducono il consumo di risorse naturali e l’inquinamento.
Inoltre, la moda etica si impegna a garantire salari equi e condizioni di lavoro sicure, contrastando lo
sfruttamento e le pratiche abusive spesso diffuse nell’industria tradizionale.
I vantaggi di un approccio etico e sostenibile alla moda sono molteplici. La moda sostenibile contribuisce
significativamente alla riduzione dell’impatto ecologico, aiutando a preservare le risorse naturali e
riducendo le emissioni di gas serra. Inoltre, promuove un consumo più consapevole e responsabile,
incoraggiando i consumatori a scegliere capi di qualità superiore e duraturi, piuttosto che seguire le
tendenze effimere di “fast fashion”.
Questo è in linea con la filosofia di Pacha Mama, nelle cui botteghe è possibile acquistare capi di
abbigliamento che si impegnano proprio in questa mission.
- Com’è nata Vagamondi e come nascono i vari progetti in generale?
(Erica) “Vagamondi nasce nel 2002 a Formigine, in provincia di Modena, da un’associazione che si chiama
“Cose dell’altro mondo”, già operativa nel nostro paese dal 1997. Io facevo già parte dell’associazione nel
consiglio direttivo. Mi occupavo di commercio equo ormai da tre anni, in particolare facevamo bomboniere.
Poi mi sono sposata e sono andata in viaggio di nozze in Sri Lanka. Girando per il paese, una nostra amica
suora ci disse che avevano bisogno di un aiuto nel costruire una scuola elementare. Nella scuola materna
facevano attività con bambini sordomuti, ma una volta finita la materna, le scuole elementari non erano in
grado di portare avanti questo percorso. Per cui, una volta tornati in Italia, abbiamo parlato con
l’associazione e abbiamo iniziato una raccolta fondi per favorire la costruzione di questa scuola.
Il passo successivo era trovare un modo per mantenere i bambini a scuola, essendo le famiglie piuttosto
povere. Le madri, quindi, essendo loro a trainare la famiglia, iniziarono a mandarci dei piccoli fiori che
potevano essere usati come decoro per le bomboniere. In Italia è nata nel 2002 la Cooperativa e nel
frattempo in Sri Lanka hanno iniziato a organizzarsi le donne.
Noi abbiamo cominciato ad allargarci come cooperativa e ad assumere altra gente. Facevamo sempre
numerosi viaggi in Sri Lanka, per mantenere il contatto diretto e vivo con questi gruppi. In questo modo
siamo venute a conoscenza di varie altre realtà che erano meritevoli di essere inserite nel commercio
equo.”
- I progetti quindi nascono sul posto? Come si mantengono i rapporti sia dal punto di
vista lavorativo che da quello sociale?
“I progetti nascono sul posto, vedendo concretamente quali sono le realtà e produttori che hanno più
difficoltà a trovare uno sbocco sul mercato. [...] Ad esempio col gruppo Aralya, quando si è cominciato ad
organizzare i vari gruppi per fare i fiori per le bomboniere di cui parlavamo prima, ci siamo resi conto che la
signora che ci ha proposto i fiori di corde di cocco doveva organizzare un gruppo di dieci persone per
lavorare, ma non aveva il posto in cui farlo. L’associazione in Italia ha cominciato a raccogliere dei fondi
organizzando cene, vendite di torte o banchetti del commercio equo. Così facendo abbiamo potuto
costruire una casa a questa signora.
Un altro esempio, fino a qualche anno fa facevamo i tulle in cui mettere dentro i confetti. Abbiamo
comprato delle macchine da cucire per far fare il bordo alle nostre donne del gruppo Aralya e c’era un
particolare tipo di tulle che in Italia vendevamo benissimo, ma che improvvisamente non arrivava più dallo
Sri Lanka. Per capirne il motivo, una volta arrivati personalmente in Sri Lanka, siamo andati a parlare con la
signora che avrebbe dovuto fare questo tipo di decoro e abbiamo capito perché non ci arrivassero i
prodotti: questa signora abitava in una capanna in mezzo alla spiaggia, il posto più povero che ci sia. Non
aveva corrente elettrica e si attaccava abusivamente a un palo della luce fuori casa. Quando c’era una bella
giornata metteva fuori casa il tavolino sulla spiaggia e cuciva. Quando pioveva, non poteva farlo. Andando lì
sul posto, ci siamo resi conto della situazione e abbiamo potuto agire di conseguenza, costruendo un
piccolo laboratorio che potesse contenere tutte le macchine da cucire.
Da questi esempi si può capire meglio come sia difficile costruire rapporti senza andare personalmente nel
paese coinvolto e capire i problemi che queste persone affrontano concretamente.
La nostra filosofia e modo di lavorare è principalmente fatto di relazioni interpersonali, il che spesso è anche
molto complicato. Però è anche ciò che ha dato veramente valore al nostro lavoro e credo anche nella
fiducia che poi le altre botteghe hanno nei confronti dei progetti che noi presentiamo.”
- Essendo di nostro particolare interesse il mondo della moda etica e sostenibile, ci
siamo focalizzate sul progetto Fai Ruang Thong, quello delle sciarpe in Thailandia.
Mi piacerebbe sapere di più sulla nascita e gli obiettivi principali di questo progetto,
sia dal punto di vista sociale che ambientale.
“La tessitura nei villaggi è l’attività che ha dato da vivere a intere generazioni.
Oltre alla lavorazione manuale, la particolarità di queste sciarpe sta nella tintura; vengono utilizzate materie
prime completamente naturali; sono foglie e cortecce che si trovano nella foresta, bollite e filtrate. Il bagno
che si ottiene è usato per colorare il cotone immerso. Una volta seccato, il filo è tessuto in telai tradizionali
manuali per dare originalità al prodotto, sempre diverso sia nella trama che nel colore.
Solo un esempio dell'origine dei colori:
- il Colore rosa deriva dalla pianta del Krang (Lac)
- il Colore marrone dalla corteccia del Pradoo altra particolare pianta Thailandese
- Il Colore verde dalla foglia di mandorla del Bengala,
- Il Colore blu dall'indaco.
Le donne trovano affermazione personale e guadagno grazie a questa produzione tessile tradizionale, anche
se non è la loro attività principale. Si tratta di un progetto un po’ d’élite perché appunto non possiamo
pretendere di avere grossi numeri.
Ogni cifra “investita” nell'acquisto di queste sciarpe, arriva direttamente alle donne tessitrici della Thailandia
per dare sostegno anche alle loro numerose famiglie, consentendo di sostenere l’economia del posto e le
piccole imprese.
Noi ci rapportiamo con questa donna di riferimento, Aoy, e non troppo facilmente. Ci scriviamo per mail e lei
si relaziona con le altre donne coinvolte.
Da una mail di Aoy del 18/05/2020
<<This Scarf made from the good Quality cotton yarn and dyed from local plant by the local craftsmanship in
Chiang Mai Thailand, when they have free time from made farm they will woven scarf, scarf soft and feel
comfortable when use, scarf has been hand-woven using hand spun cotton, and hand dyed using natural
dyes. This classic design will be fashionable for many seasons to come>>.
"Questa sciarpa è realizzata con filato di cotone di buona qualità e tinta da artigiani, utilizzando piante locali
della zona di Chiang Mai in Thailandia. La tessitura è un antico lavoro che si è sempre svolto nelle fattorie,
nei momenti di riposo e di tempo libero. Le sciarpe sono morbide e confortevoli, tessute a mano utilizzando
cotone filato a mano e tinte a mano con coloranti naturali. Questo design classico sarà alla moda per molte
stagioni a venire.”
- Da Pacha Mama abbiamo notato che il packaging delle sciarpe è quello fatto con
ritagli di carta di giornale riciclata, è un altro progetto?
“Quelle lì vengono fatte sempre dal gruppo Aralya. Per dare un aspetto finito alle sciarpe le mettiamo in
queste borse che ci passa Aralya, in modo che anche questo gruppo possa continuare a lavorare nel
confezionamento.
Quando andiamo in Sri Lanka cerchiamo di capire quelle che sono le capacità di queste donne e cerchiamo
di proporre poi attività con materiale di scarto, in modo sostenibile.”
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