Durante questa pandemia abbiamo riflettuto a lungo sui diritti delle persone, sulle problematiche ambientali, su nuove buone pratiche acquisite nei nostri comportamenti quotidiani, sul desiderio di una normalità che non sia un semplice tonare indietro, ma un guardare avanti in modo più equo e consapevole.
Aderiamo dunque con entusiasmo alle iniziative di riflessione proposte dalla rete di Equo Garantito, rete che coordina e certifica le più serie iniziative di commercio equo e solidale, che ha messo insieme esperti dei settori economia, moda, lavoro, spettacolo, informazione e comunicazione, per parlare di diritti dei lavoratori, ambiente, di come tornare ad una normalità più giusta. Si confronteranno con un ciclo di eventi on line tra il 29 aprile e il 27 maggio.
Durante lo scorso anno abbiamo studiato gli impatti della pandemia, in particolare dei mesi di lock down, sulle filiere del commercio equo e solidale. Altromercato ha lanciato una indagine ampia e organica, tra marzo e giugno, coinvolgendo 46 organizzazioni di produttori, che rappresentano oltre 32.000 persone nel mondo. Accanto ai numeri, ciò che esce con maggior impatto è la resilienza e la capacità di reagire del commercio equo e solidale. Gli acquirenti devi paesi più ricchi hanno mantenuto i propri ordini e pagamenti, e la solidarietà tra i produttori si è moltiplica.
Un modello dunque che ha retto gli impatti della pandemia, proprio grazie alla sua logica low profit e di alto impatto sociale. Qui sotto alcune delle azioni sviluppate nell'ambito delle filiere del commercio equo.
Ben diverso è stato su molte filiere di approvvigionamento del settore moda e di molti brand della fast fashion. Dall’inizio della pandemia, almeno il 10% di chi lavora nella produzione tessile ha perso il lavoro. Milioni di persone sono a rischio di licenziamento e non ricevono lo stipendio intero da mesi. La maggior parte di queste persone sono donne. Nelle fabbriche in cui lavorano i loro diritti non vengono rispettati e non hanno alcun potere di farsi valere.
Proprio durante la pandemia, all'opposto del commercio equo in cui le relazioni sono stabili, paritarie, e continuative, in un mondo di subappalto e scarsa tracciabilità di filiera, migliaia di lavoratori non sono stati affatto pagati nonostante il lavoro già svolto a fronte di ordini annullati e rifiutati.
PAY YOUR WORKERS!
Da questi problemi è nata la campagna PAY YOUR WORKERS, rivolta a grandi brand come Nike, H&M, Zara, Amazon, per vedere rispettati definitivamente i diritti traditi dei lavoratori durante la pandemia. Oltre la pandemia, il movimento sta chiedendo ai grandi marchi globali di moda e distribuzione di sottoscrivere un’impegno, una sorta di assicurazione salariale (wage assurance), che li impegni a garantire pubblicamente che i lavoratori ricevano ciò che gli è dovuto.
Un altra interessante indagine è quella di Valori. "Moda senza diritti, ecco come sfrutta la pandemia!"
Di questo si parlerà nel primo della serie di eventi, quello del 29 aprile.
Intervengono:
Roberta Lojacono (Stilista):
Panoramica della moda post-pandemia. Ripartire da una moda slow
Deborah Lucchetti (Coordinatrice della Campagna Abiti Puliti):
Campagna #PayYourWorkers
Cecilia Frajoli Gualdi (Presidente di Dressthechange.org):
Come promuovere una moda sostenibile
David Cambioli (Presidente di AltraQualità):
Come il Commercio Equo e Solidale ha fronteggiato la crisi del settore tessile durante la pandemia
Modera: Cristina Sossan (Advisor Comune di Milano)
Il valore della moda etica, la crescita dell'impatto sociale anche durante la pandemia (es il progetto I Was A Sari)